Testi Critici

Le armoniche visioni interrotte dai tormenti dell’anima

L’uomo nel corso dei secoli, ha subito un importante processo evolutivo. Un’evoluzione che non riguarda solo la specie, ma che riguarda, essenzialmente, l’evoluzione del pensiero. La medesima evoluzione, dal punto di vista dell’ideologia pittorica, riguardante però, il segno, l’ha subita Roberta Betti. L’artista di Chiusi, inizialmente, rivolge la sua attenzione verso il paesaggio. Le sue ambientazioni sceniche si rivolgono verso quelle vedute della città di Chiusi, che la collocano in quel filone, che viene identificato come “Paesaggismo locale”. Nel corso del tempo, l’evoluzione pittorica di Betti, percorre nuove strade. Dall’idea di un segno “puritano”, quasi sacro e inviolabile: a tal proposito voglio ricordare oltre che ai suoi paesaggi, anche le sue composizioni floreali, l’artista passa ad un segno più incisivo. La tela non ospita più papaveri, margherite o girasoli. Negli ultimi anni la sua tela ospita quelle che sono le “turbolenze della psiche”. Lei passa da essere un’ottima interprete della figurazione quotidiana, a confrontarsi con nuove realtà che riguardano la follia del segno. In poche parole, passa dall’essere un’artista figurativa, ad essere un’ artista astratta. Di significativa importanza, a riguardo di questa mia analisi critica, è la serie che Betti dedica agli sguardi. I suoi “sguardi” sono la testimonianza tangibile dell’invidia dell’uomo. L’uomo metropolitano, immesso nel contesto della folla, perde la sua individualità per diventare massa. Perdendo tale individualità, i giudizi di valore vengono meno. Gli sguardi di Betti portano l’uomo all’interno di quel tribunale della vita in cui il giudice pronuncia le sue sentenze. La realtà descritta dall’artista, è quella che ridà all’uomo nuove possibilità. Betti ci porta in realtà di luce. Basti pensare alle cromie che l’artista decide di utilizzare. Un mondo, le cui armoniche visioni, vengono però interrotte dai tormenti dell’anima. Betti basa la sua ricerca visiva sull’antinomia luce/buio. Un’antinomia che vede i malesseri scontrarsi contro la bellezza eterna di un campo di papaveri. Un’antinomia che vede crescere su strade tortuose, splendidi girasoli. Da anni seguo ormai, in maniera molto attenta, l’evoluzione artistica di Roberta. L’ho vista crescere e confrontarsi con problematiche legate alla vita. Le sue tele non sono altro che la testimonianza più autentica di ciò che ogni giorno l’uomo si trova a vivere. L’esercito del male è sempre pronto ad attaccare. Il campo di battaglia, però, sono i giardini segreti dell’Eden; quei giardini in cui la pittura di Roberta Betti risplende più bella che mai. In quei giardini sarà sempre il bene a trionfare. Un bene che lo voglio impersonificare negli arcobaleni di luce tracciati dall’abile mano di Roberta.

Salvatore Russo
Roma Novembre 2014

Roberta Betti: l’Energia della Fenice

Legata alle tecniche artistiche tradizionali, Roberta Betti è una pittrice la cui poetica oscilla fra rassicuranti cromie di paesaggi campestri e sfavillanti tonalità di elementi floreali. Raffinata acquarellista, porta avanti il proprio lavoro nello studio di Chiusi, nel pieno centro storico dell’affascinante cittadina etrusca arroccata sulle colline della bassa Toscana, ad un passo dal confine con l’Umbria e con l’ultimo suo avamposto, quella Città della Pieve che nel Quattrocento dette i natali a Pietro Vannucci, Il Perugino. Questa premessa è utile a comprendere il tessuto geografico in cui Roberta Betti lavora, non tanto per identificarla con un territorio, quanto per tentare di comprendere cosa spinga questa delicata pittrice di atmosfere rurali, verso una parallela produzione artistica tanto lontana da quella stessa tradizione in cui si trova. Entrando nel suo studio-bottega, si viene infatti travolti da qualcosa che con la tradizione ha poco a che vedere, investendoci al contrario attraverso la crudezza della più spietata pittura contemporanea. C’è un mondo sotterraneo nella pittrice, che emerge violento con sferzate di colore magmatico stagliate come ferite incandescenti in un mare dilagante di notturna opacità: vortici e turbini infuocati; gorghi infernali; porte aperte sull’oscurità che in parte lasciano pensare al mistero celato nelle segrete cavità della terra.
E a ben vedere c’è una singolare assonanza fra la pittura astratta di Roberta Betti e la millenaria storia nascosta nei meandri di Chiusi, l'antica Camars dove, nel VI a.C., regnava il leggendario Re Lars Porsenna. Tutta l’area ricorda infatti epoche lontane, immerse nel mistero della popolazione etrusca di cui ancora oggi restano a testimonianza le architetture funerarie, le uniche ben conservate. Numerose le tombe rinvenute nella zona, alcune delle quali famose e preziosissime, poiché decorate da rarissimi e ben conservati affreschi. Un culto, quello dell’oltretomba, perdurato nei secoli, possedendo Chiusi anche due catacombe paleocristiane e dunque, a ben vedere, in questa terra c’è una doppia realtà: quella straordinariamente bella e pittoresca di superficie, colorata da prati, boschi e illuminata dall’azzurro dell’omonimo lago e quella sotterranea, scavata millenni orsono nel buio del tufo per dare degna sepoltura ai morti.
Parimenti Roberta Betti sembra ricalcare questa dicotomia, avendo in sé le due facce di una stessa medaglia dove, tuttavia, è la parte sotterranea a nascondere il suo vero volto artistico. Sgombrato infatti il campo dalla tradizionale pittura di superficie, l’interpretazione artistica più personale di Roberta Betti si esprime attraverso il ricorso ad una pittura astratta che presenta caratteristiche di pura informalità, espressa nei contrasti di tonalità dosate nelle gradazioni del nero ed altre che emergono con violenza attraverso colori caldi. Questo vale per la serie delle Introspezioni, dove a tratti si rileva la forza espressiva di Hans Hartung o le suggestioni metafisiche delle “attese” di Fontana, ma essendo ormai inutile “tagliare” la tela, Roberta Betti sfoga la propria interiorità lavica attraverso suggestioni espressive che se da un lato ricordano questi precedenti storici, dall’altro esprimono una femminilità evocata da una pittura costruita con pennellate decise e aggraziate, componendo un tessuto squamoso memore del manto piumato degli uccelli.
Anche nei vortici si riscontra questo stesso metodo operativo, ma ancor più che nella serie delle Introspezioni, qui si riscontra una forza trascinatrice apertamente palesata nelle linee concentriche incise sul supporto. Una gestualità ossessiva e reiterata fino allo spasmo, per arrivare ad un gesto che diventa opera, ed è proprio quel gesto, quell’insistenza ossessiva del graffiare la tela ad originare le opere più recenti, esposte nella grande mostra tenuta nell’estate 2016 al castello di Sarteano. Si tratta della serie Evoluzione/Involuzione dove il gesto, incidendo l’impasto pittorico superficiale, diventa ancora più intenso dando luogo a paesaggi surreali, scritti o disegnati con un primordiale alfabeto segnico, frutto dell’istintiva necessità dell’artista. Una pareidolia di forme e suggestioni inconsce la cui chiave di lettura più efficace sembra essere il dipinto Araba Fenice, dove non a caso si richiama l’animale mitologico a simboleggiare una pittura scaturita improvvisamente dalla semplicità di un’artista amante della natura, che a forza di scavare nel terreno antico dei propri sentimenti trova un mare di energia nascosta pronta ad esplodere, e che proprio come l’infuocata Araba Fenice emerge dalle oscure ceneri per rinascere a nuova vita.

Andrea Baffoni
Perugia Novembre 2017